Francia e Gran Bretagna spingono per mandare truppe in Ucraina
Basta transito di armi nel porto di Ravenna | Il maxi-processo contro Askatasuna e NoTav | Il COS denuncia "molestie al Liceo Leonardo" | Prosegue la mobilitazione per i metalmeccanici
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FRANCIA - A Parigi si è tenuto oggi il vertice dei cosiddetti “volenterosi”, cioè i leader che vogliono mandare truppe sul terreno in Ucraina, coordinati soprattutto dal francese Macron – che prima del meeting ha telefonato a Trump – e dal britannico Starmer.
"Ci sarà una forza di rassicurazione" composta da "diversi Paesi europei" nel caso di raggiungimento della pace in Ucraina: così Macron dopo il vertice all'Eliseo, precisando che questa avrà base "in alcuni luoghi strategici" dell'Ucraina "in caso di pace, a carattere di dissuasione contro una potenziale aggressione russa". Tuttavia "non saranno destinate al mantenimento della pace, non saranno presenti sulla linea di contatto né si sostituiranno all’esercito di Kiev”.
Al summit era presente anche il presidente ucraino Zelensky, che ieri ha incontrato Macron. Al termine del loro incontro, il presidente francese ha affermato che è “decisamente troppo presto” per parlare di una revoca delle sanzioni alla Russia, ma anche di una trattativa per il cessate il fuoco. Per Macron e Zelensky prima Mosca deve firmare una “tregua senza condizioni”.
Ma che cosa ne pensa la società francese del bellicismo di Macron e del piano “ReArm Europe”?
Qui la lettura e l’analisi di Gianni Mainardi, compagno italiano che vive a Parigi da molti anni, ex esiliato politico in Francia. Di seguito un estratto del suo intervento:
L'Italia, lato suo, ha fatto sapere che non invierà una "forza nazionale" di interposizione in Ucraina. "I nostri militari andranno solo in ambito Onu", specifica il vicepremier e ministro degli Esteri Tajani, mentre Crosetto oggi è stato in audizione davanti alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato.
Di seguito il commento a caldo sull’esito del vertice di Francesco Vignarca, della Rete Italiana Pace e Disarmo
PALESTINA - Proseguono i bombardamenti israeliani a tappeto sulla Striscia di Gaza. Colpite le tende a Jabalia, dove l'Idf sostiene di aver ucciso un portavoce, l’ennesimo, di Hamas: Abdel-Latif Al-Qanoua.
Almeno 30 i morti di oggi, mentre i raid degli ultimi 9 giorni hanno lasciato senza nemmeno una tenda sopra la testa altre 140mila persone. Tutto questo mentre i pochi ospedali rimasti attivi non hanno mezzi e risorse per assistere la popolazione e molte Ong, oltre alle agenzie Onu, stanno lasciando la Striscia per l’impossibilità di operare a causa dei bombardamenti incessanti e dell’avanzata via terra delle truppe di occupazione, oltre che del blocco criminale degli aiuti di ogni genere, che Israele ha imposto – nel silenzio complice dell’Occidente – dall’inizio di marzo. Il punto della situazione dalla Striscia nella traduzione, a cura di Radio Onda d’Urto, del dossier odierno diffuso dalla Wafa, l’agenzia di stampa ufficiale palestinese.
Prosegue anche l’assalto di militari e coloni israeliani alle città e ai villaggi della Cisgiordania. Ogni giorno raid, saccheggi, atti vandalici, arresti. Nelle ultime ore le forze di occupazione hanno rapito 12 palestinesi tra Ramallah e Tulkarem che, assieme a Jenin, si trova sotto assedio da oltre due mesi. Un morto a Nablus, un ragazzo di soli 18 anni, Samer Sharafa, mentre arrivano nuove restrizioni alla libertà di movimento e circolazione ai palestinesi. In West Bank ci sono un migliaio di check point, che non riguardano i coloni fascisti, liberi di muoversi. Risultato: dal 7 ottobre 2023 le terre rubate dagli occupanti sono cresciute del 50%.
Un’occupazione totale, dunque, sostenuta in ogni modo anche dall’Occidente, tra mosse alla luce del sole e... altre meno. È il caso di quanto accaduto al porto di Ravenna, dove da inizio febbraio è bloccato un carico di 14 tonnellate di componenti diretto a Israele. 800 pezzi meccanici, che una volta assemblati, sarebbero diventati armamenti, nonostante l’assenza di qualsiasi autorizzazione. Da qui il sequestro.
Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, Linda Maggiori, attivista e giornalista de Il Manifesto, in collegamento da Ravenna:
Sul tema, oggi abbiamo approfondito anche:
Basta transito d’armi nel porto di Ravenna. Il presidio indetto per sabato 29 marzo nel porto di Ravenna dalla Rete antisionista ed anticolonialista per la Palestina – Emilia Romagna per dire “basta al transito di armi”. Appuntamento alle 16.00 in Piazza del Popolo.
Israele/Palestina – Dietro le quinte. I tre incontri organizzati da Susanna Sinigaglia e Monica Macchi per parlare dei processi storico-politici che hanno portato alla creazione dello Stato di Israele, nonché degli eventi che hanno plasmato la società israeliana come etnocrazia prima e come Stato di apartheid poi.
REPRESSIONE - Lunedì 31 di marzo sarà una giornata importante per le persone che si rivedono nelle lotte e nei movimenti nati attorno alla storia dei centri sociali in Italia: è il giorno in cui il Tribunale di Torino deciderà sul destino di 28 persone, 16 delle quali accusate di associazione a delinquere, legate al Movimento Notav, al centro sociale torinese Askatasuna e allo spazio popolare Neruda.
Sono complessivamente 88 gli anni di carcere chiesti dall’accusa, oltre 7 i milioni pretesi dalla Procura e dalle partici civili, compresi i Ministeri e l’avvocatura di Stato, 3 milioni dei quali chiesti per danno d’immagine allo Stato. Richieste basate su indagini durate anni, ore di intercettazioni, pedinamenti, migliaia di soldi pubblici consumati per strutturare un teorema che, come sottolineano gli avvocati della difesa, vuole rendere il dissenso un reato.
L’Associazione a Resistere, che si è costituita a seguito delle accuse mosse contro il movimento torinese e che ha trovato l’adesione di migliaia di persone solidali, ha sottolineato in un comunicato come questo processo e l’impianto accusatorio tenti di “mettere sotto accusa il senso della militanza politica”.
Askatasuna è, con ogni probabilità, il centro sociale più citato d’Italia. Lo è per la sua lunga storia politica e, in parte, per gli accanimenti giudiziari che in questi anni si sono abbattuti su attivisti e attiviste. L’ipotesi iniziale della Digos, attraverso le indagini, era dimostrare che Askatasuna fosse una associazione sovversiva. Una volta caduta l’accusa di sovversione, la fase successiva è stata quella di dimostrare che dentro al centro sociale torinese si annidasse un’associazione criminosa.
Il senso di questo maxi-processo, definito Sovrano dal nome delle indagini, secondo la difesa e le realtà coinvolte dalle accuse è quello al contrario di riuscire a costituire il conflitto sociale come reato, processando chi agisce il conflitto ed escludendo il cosiddetto “diritto penale del nemico”, cioè il diritto al dissenso.
Sul maxi-processo, ai microfoni di Radio Onda d’Urto:
Dana, una delle imputate coinvolte che ripercorre i punti chiave e le anomalie del processo Sovrano. Ascolta o scarica
Giansandro Merli de Il Manifesto, che spiega i contorni dell’inserto speciale sul processo Sovrano in uscita su Il Manifesto venerdì 28 marzo. Ascolta o scarica
BRESCIA - Presa di posizione pubblica del Collettivo Onda Studentesca, che in un comunicato denuncia ciò che definisce “un fatto gravissimo che non accettiamo passi inosservato”.
“Un professore del liceo Leonardo – scrive il COS nel volantino – ha molestato un’alunna; non si tratta di un episodio isolato, ma di una serie di abusi sistematici, avvenuti anche su altre studentesse, agiti nel silenzio più totale, finché non sono emersi pubblicamente attraverso la denuncia e la condivisione da parte di alcune ragazze. Vogliamo che questo uomo venga allontanato dalla scuola e chiediamo che il preside risponda della sua indifferenza, affinché vengano prese le misure necessarie per garantire la sicurezza e il benessere di tutte le studentesse e gli studenti del nostro istituto. Noi non ci stiamo, non rimaniamo in silenzio né indifferenti e non permettiamo che il diritto di studiare in sicurezza venga calpestato perché le studentesse e gli studenti sono la scuola. Il sistema non ci protegge, ma noi non ci arrenderemo, perché sappiamo di esserci vicine e che la nostra voce è potente. Quello che stiamo chiedendo oggi non è un favore, non è una concessione. È una rivendicazione di diritti. Il diritto alla libertà, il diritto a vivere senza paura.
SE TOCCANO UNA, TOCCANO TUTTE.”
Qui il punto sulla vicenda di una studentessa del Collettivo Onda Studentesca di Brescia
Oggi, sempre su Radio Onda d’Urto:
Metalmeccanici in lotta per il rinnovo del contratto nazionale. Domani, la mobilitazione chiamata da FIM, FIOM e UILM continua: previste per venerdì 28 marzo, otto ore di sciopero a livello nazionale al fine sollecitare la riapertura della trattativa con Federmeccanica, Assistal e Unione Meccanica per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del settore
Dalla parte del diritto all’abitare || Le mobilitazioni contro gli affitti brevi, sfratti e caro-affitti
Il 25 aprile 2025 sarà l’ottantesimo anniversario della Liberazione d’Italia dall’occupazione nazista e dalla dittatura fascista. Radio Onda d’Urto dedica a questa data la programmazione del suo palinsesto, mandando in onda ogni giorno due trasmissioni speciali [qui tutte le puntate].
Le trasmissioni di giovedì 27 marzo:
Mattina e pomeriggio: l’intervista alla storica Laura Orlandini, collaboratrice dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Ravenna. A partire dal suo volume La democrazia delle donne. I gruppi di difesa della donna nella costruzione della Repubblica (1943-45) (Bradypus Editore, 2018), Laura Orlandini affronta il tema della partecipazione femminile alla Resistenza e dell’organizzazione autonoma dei Gruppi di Difesa della Donna. Ascolta o scarica
A chiudere, l’appuntamento con Storia di Classe:
Pochi minuti, ogni giorno, per ripercorrere la storia (la “nostra” storia). Un evento storico, una mobilitazione politica, una rivolta, una lotta, tornando indietro nel tempo per conoscere la storia dei movimenti operai, di classe e rivoluzionari.
27 marzo 1985: A Londra viene sgomberato dalla polizia il South London Women Hospital occupato per impedirne la chiusura