Palestina: Gaza continua a bruciare. Occidente imbarazzato, piazze mobilitate.
Lotte operaie: dopo lo squadrismo a Prato, operaio investito a un picchetto nel Milanese I Francia: sciopero generale contro l'austerità I Ucraina: 1.300 giorni dopo, cosa è cambiato tra Kiev e Mosca?
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PALESTINA - Non si ferma il genocidio a Gaza: in soli tre giorni dall’inizio dell’invasione israeliana via terra di Gaza City, il numero dei morti accertati ha superato i 300 mentre le forze di Tel Aviv hanno intensificato i raid aerei sulla città, riducendola in macerie e portando alla mobilitazione dei carri armati israeliani. Secondo fonti israeliane, circa 500.000 palestinesi sarebbero fuggiti dalla principale città della Striscia. Tuttavia, è difficile confermare questa cifra a causa del blackout delle comunicazioni: Tel Aviv ha infatti interrotto l’accesso a Internet per gran parte della Striscia, per impedire la diffusione di informazioni e notizie indipendenti.
Soltanto oggi, giovedì 18 settembre, i bombardamenti israeliani hanno causato 83 morti, dopo i 99 di ieri e i 110 di martedì. Gli ospedali, già al collasso, non riescono più a far fronte al numero crescente di feriti mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme: “I feriti non riescono a ricevere assistenza, e la crescente violenza sta impedendo l’accesso alle strutture sanitarie, mettendo in grave pericolo la vita di centinaia di persone”.
Su Radio Onda d’Urto, la corrispondenza dalla Striscia di Gaza con Sami Abu Omar, cooperante di tante realtà solidali italiane, in particolare del Centro “Vik – Vittorio Arrigoni” e di ACS, oltre che nostro collaboratore. Ascolta o scarica.
Dentro Israele, intanto, tiene banco la morte di 4 soldati occupanti, colpiti da un’autobomba a Rafah, mentre il ministro dell’economia, il colono fascista Bezalel Smotrich, vuole passare all’incasso: “Gaza rappresenta una miniera d’oro. Dopo aver investito ingenti somme nella guerra, Israele dovrebbe negoziare una spartizione del territorio con gli Stati Uniti”, che dal canto loro – fonte: il bilancio del Pentagono – hanno speso negli ultimi mesi mezzo miliardo di dollari in missili intercettori per difendere Israele, soprattutto durante i giorni di scontro aperto con l’Iran.
Ancora Palestina: le violenze non si limitano alla Striscia di Gaza, ma si estendono anche alla Cisgiordania Occupata. Da quando è iniziata l’invasione di Gaza, si è registrata un’ondata senza precedenti di raid, rapimenti e distruzione, giustificata dalle autorità israeliane con la pretesa di dover fermare gli attacchi di Hamas sulla West Bank. L’esercito israeliano ha ordinato centinaia di rapimenti (“arresti”, dice Tel Aviv) mentre i coloni – ancora più liberi di agire grazie al supporto delle forze occupanti israeliane – hanno intensificato il furto di terre e risorse dai palestinesi, oltre agli atti di terrorismo per spingere la popolazione a fuggire, mentre nel pomeriggio, al ponte che conduce in Giordania, un uomo - cittadino giordano - ha fatto fuoco, uccidendo due soldati occupanti prima di essere a sua volta ucciso.
Il tutto mentre Israele ha bombardato il sud del Libano, ferendo gravemente un contadino a Meiss el-Jabal; è la 4.500 violazione del cessate il fuoco, in vigore dal novembre 2024. Tensione pure in direzione Yemen: un drone degli Houthi ha bucato, colpendo Eilat, le difese di Israele. Sirene d’allarme risuonate, nel tardo pomeriggio, pure attorno a Gerusalemme, per il timore di altri possibili lanci da Sana’a.
Fronte occidentale. Le autorità Usa hanno avviato il processo di espulsione del palestinese Mahmoud Khalil, studente della Columbia e noto attivista per i diritti della Palestina, accusato di aver omesso (presunte) informazioni nella domanda di green card. Dovrebbe essere spedito o in Algeria o in Siria, Paesi con cui non ha alcun legame.
L’Unione Europea dibatte ancora delle (micro)sanzioni economiche contro i responsabili israeliani, tra cui i ministri Smotrich e Ben Gvir; si parla comunque di 227 milioni di euro, una goccia nel mare delle complicità europee con Tel Aviv, dove l’interscambio commerciale si aggira sui 45 miliardi di euro. Nonostante questo, per il via libera alle sanzioni serve l’ok unanime dei 27 Paesi Ue; fantapolitica, al momento, vista la contrarietà già esplicitata da Germania e Repubblica Ceca.
In Italia intanto cresce ancora la mobilitazione popolare per la Palestina. Al largo di Capo Passero, Sicilia, si sono ricongiunte le delegazioni spagnole, tunisine e italiane della Global Sumud Flotilla. Domani, venerdì, a…terra le manifestazioni della Cgil (a Brescia, ore 18 in Largo Formentone) mentre lunedì 22 settembre sarà sciopero generale con Usb, realtà del sindacalismo di base e movimenti sociali.
Due gli appuntamenti bresciani del 22 settembre: ore 10.30 in piazza Loggia e ore 18.30 in piazza Duomo con il Coordinamento Palestina, che ha già chiamato a un grande corteo di massa per sabato 27 settembre nel centro cittadino.
FRANCIA - Oggi, giovedì 18 settembre, in Francia nuovo sciopero generale contro l’austerity (tranne che per le spese militari, in crescita esponenziale) voluta prima dal premier - impallinato - Bayrou e ora dal suo successore Lecornu, che nelle ultime ore ha incassato una mezza apertura dai lepenisti, mentre lavora con l’esplicito obiettivo di spaccare il Nouveau Front Populaire, di sinistra, cercando di imbarcando i socialisti dentro l’esecutivo o quantomeno nell’ipoteca maggioranza dell’Assemblea Nazionale.
Intanto nelle piazze, a una settimana dalle manifestazione “Blocchiamo tutto”, i sindacati hanno convocato per oggi 250 manifestazioni: già dal mattino, blocchi in scuole e trasporti, mentre nel pomeriggio si sono tenuti cortei imponenti.
Le prime valutazioni parlano di un milione di persone in piazza. Muscolare la reazione poliziesca, con cariche da Marsiglia a Tolosa, da Nantes a Lione.
E’ però a Parigi dove gli scontri tra manifestanti e polizia sono stati più duri sin dai primi momenti del corteo che intendeva raggiungere Place de la Republique. In Rue Voltaire i fronteggiamenti sono durati per ore, con cariche e lacrimogeni proseguiti fin dopo le 18. Già prima della manifestazione, nella sola Parigi, il Ministero dell’Interno francese aveva già conteggiato 128 persone fermate.
Ascolta, su Radio Onda d’Urto, le corrispondenze dalla Francia.
LOTTE OPERAIE - Dalla Francia all’Italia, direzione Toscana. Dopo l’aggressione squadrista di martedì contro gli operai in lotta e i sindacalisti Sudd Cobas fuori dalla stireria Alba (Montemurlo, Prato) che lavora per conto di numerosi brand di alta moda del cosiddetto Made in Italy, lavoratori e sindacato hanno annunciato per sabato 20 settembre una manifestazione di piazza (appuntamento alle ore 15 in Porta del Serraglio, a Prato) dietro la parola d’ordine “Tocca uno, tocca tutti. Diritti e diginità nelle filiere del Made in Italy”. La decisione è stata presa durante una partecipata assemblea con lavoratori, sindacalisti e solidali.
Un’aggressione analoga si registra, nel tardo pomeriggio, anche in Lombardia. Il Si Cobas denuncia che “un crumiro ha provato a sfondare il presidio operaio alla General Frigo (gruppo Levoni) a Melzo”, vicino Milano. “Un operaio - aggiunge il sindacato di base - è stato portato in ospedale. Questo è il rischio di rivendicare i propri diritti sul lavoro: essere aggrediti da altri lavoratori che invece di rialzare la testa decidono di stare al soldo del padrone”.
UCRAINA - Da una decina di giorni, il quadrilatero tra Ucraina, Polonia, Romania e Bielorussia è al centro di un’ulteriore, pericolosissima escalation tra Nato e Russia.
A Varsavia, però, è maretta tra il presidente Nawrocki e il premier Tusk, dopo che il quotidiano locale Rzeczpospolita ha fatto sapere che l’abitazione di Wyryki danneggiata dai droni russi il 10 settembre sarebbe in realtà stata colpita da un missile polacco aria-aria Aim-120, scagliato da un F-16 alzatosi in volo per abbattere i droni russi. Il missile, sbagliato l’obiettivo, è precipitato a terra, pur senza esplodere.
Da qui la reazione del presidente polacco, che ha chiesto al governo di “chiarire immediatamente l’accaduto”, facendo filtrare ai media di Varsavia di “non essere stato informato” dalle autorità dei primi esiti dell’indagine, in corso a Lublino.
In Ucraina, invece, Mosca sostiene di “stare avanzando in tutti i settori… i combattimenti più intensi snella zona di Krasnoarmeysk“. Da entrambi i lati del frontepartono, quotidiani, decine di missili e droni, come quelli transitati – e caduti – nei giorni scorsi anche sui Paesi vicini, come Romania e Polonia.
1.300 giorni – e migliaia di morti – dopo l’inizio dell’invasione militare russa dell’Ucraina, nulla pare tuttavia davvero cambiare sul quadrante orientale d’Europa e le opzioni diplomatiche sembrano su un binario morto.
LIBANO - Infine, il Libano. 43 anni fa, tra il 16 e il 18 settembre 1982, le milizie falangiste-nazionaliste libanesi (a maggioranza cristiana maronita) con la connivenza dell’esercito israeliano compivano un massacro nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, a Beirut, in Libano.
Furono tre giorni di mattanza con almeno 3000 civili assassinati dalle milizie cristiano-falangiste libanesi coperte dall’esercito israeliano che aveva invaso il Libano tre mesi prima (da giugno 1982) e assediava la capitale sotto la direzione dell’allora ministro della difesa (e poi premier) Ariel Sharon.
Dopo l’evacuazione da Beirut dei combattenti dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) agli ordini di Arafat – prevista dagli accordi di cessate il fuoco mediati dagli Usa dopo mesi di assedio e resistenza – i profughi palestinesi erano rimasti senza alcuna protezione.
La scintilla per i massacri di Sabra e Shatila fu la morte – in un attentato – del neopresidente libanese, il leader falangista cristiano di estrema destra Bashir Gemayel, salito al potere con l’appoggio dell’occupazione israeliana.
I miliziani di Gemayel compirono materialmente il massacro con l’appoggio e la copertura dell’esercito israeliano, che circondò i due campi in modo da lasciare indisturbati i falangisti. In molti furono uccisi con asce e pugnali, i corpi seviziati per tre giorni e due notti consecutive, con il mondo tenuto all’oscuro di tutto. “Ce lo dissero le mosche” è l’attacco del reportage del giornalista inglese Robert Fisk, tra i primi a entrare su Sabra e Shatila, riferendosi agli insetti che assediavano il campo profughi con i corpi delle vittime in putrefazione.
Nel dicembre 1982, con la risoluzione 37, l’ONU definì Sabra e Shatila “un atto di genocidio”, a oggi però dimenticato.
Su Radio Onda d’Urto, la corrispondenza odierna da Beirut di Mirca Garuti, dell’associazione “Per non dimenticare Sabra e Shatila”, in Libano per partecipare alle commemorazioni del massacro, unita alla lettura, curata dalla Redazione, di un passaggio del reportage dal Libano del giornalista Robert Fisk del 1982, con il celebre e drammatico incipit “Ce lo dissero le mosche…”
A chiudere, l’appuntamento con Storia di Classe:
Pochi minuti, ogni giorno, per ripercorrere la storia (la “nostra” storia). Un evento storico, una mobilitazione politica, una rivolta, una lotta, tornando indietro nel tempo per conoscere la storia dei movimenti operai, di classe e rivoluzionari.
18 settembre 1982: termina il massacro israelo-libanese di Sabra e Shatila.